Domenica 20 Dicembre ’20, la Santa Messa sarà celebrata alle ore 8.30 nella chiesa di S. Pietro.
Brani della IV Domenica di Avvento:

Asperges meKyriale pag. 6
Kyrie – Sanctus – Agnus Dei   (Missa XVII – In Dominicis Adventus – Kyrie C)Kyriale pag. 62
Credo IV Kyriale pag. 74
Communio –   En clara vox redarguitCantus Selecti pag. 29
Finale –   Rorate cæli desuperCantus Selecti pag. 27

IV domenica d’Avvento

(1Cor 4,1-5; Lc 3,1-6)

Belluno, chiesa di s. Pietro, 20 dicembre 2020

Giovanni Battista era deciso; percorreva tutta la valle del Giordano -ci ha detto il Vangelo- predicando conversione: “Raddrizzate la vostra vita, riempite i burroni di male in cui siete caduti, buttate giù i monti e i colli della vostra superbia e dei vostri egoismi che vi impediscono di accogliere il Messia, il Salvatore. Egli vuole venire da voi!” La gente andava da Giovanni; vi andava benché il suo messaggio fosse duro, esigente e chiedesse cambiamenti radicali e profondi. Vi andava perché in fondo al cuore umano -e in fondo anche al nostro cuore- c’è bisogno e desiderio di autenticità, di verità, di santità. Ma ne abbiamo le forze?

Emmanuele Kant, celebre filosofo, ebbe a dire: “Da un legno storto, come è quello di cui l’uomo è fatto, non può uscire nulla di perfettamente diritto”. In piena consonanza con l’apostolo Paolo che, nella lettera ai Romani, scrive: “In me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo” (Rm 7,18). Alessandro Manzoni nell’‘Inno al Natale’ parla di un grosso masso che, staccatosi dalla cima di un monte, scende giù fino a valle e lì si ferma, senza più avere la capacità di tornare su da dove è caduto; tale -egli dice- è l’umanità peccatrice, incapace di tornare a quella santità che aveva prima del peccato. Avrà salvezza solo se dal cielo Qualcuno verrà a salvarla. E Dio stesso è venuto per lei! Ascoltiamo le sue parole:

Qual masso che dal vertice di lunga erta montana,
abbandonato all’impeto di rumorosa frana,
per lo scheggiato calle precipitando a valle,
batte sul fondo e sta;

là dove cadde, immobile giace in sua lenta mole;
né, per mutar di secoli, fia che riveda il sole

della sua cima antica, se una virtude amica
in alto nol trarrà:

tal si giaceva il misero figliol del fallo primo,

dal dì che un’ineffabile ira promessa all’imo
d’ogni malor gravollo, donde il superbo collo
più non potea levar.

Qual mai tra i nati all’odio, quale era mai persona

che al Santo inaccessibile potesse dir: perdona?
far novo patto eterno? al vincitore inferno
la preda sua strappar?

Ecco ci è nato un Pargolo, ci fu largito un Figlio:
le avverse forze tremano al mover del suo ciglio:

all’ uom la mano Ei porge, che sì ravviva, e sorge
oltre l’antico onor.

L’uomo da solo non può salvarsi; l’uomo con le proprie forze non riesce a convertirsi; le forze dell’uomo sono poche, troppo poche! Abbiamo bisogno di un Salvatore. Il desiderio di un Salvatore sarà in proporzione di quanto riusciamo a concepirci poveri, deboli, incapaci, peccatori. Lo siamo! Convinciamocene. Il Redentore viene, è alle porte. E’ alle porte ogni giorno, ogni momento; sempre egli bussa al nostro cuore. Ma il nostro cuore è gonfio di sé? è superbo? Pensa di essere, tutto fatto, a posto, o di avere bisogno soltanto di qualche piccolo marginale ritocco? Allora chiederemmo poco, e avremmo poco. L’umile chiede molto, e avrà molto: avrà in sé la pienezza della salvezza di Dio.

don Giovanni Unterberger

20 Dicembre ’20 – IV Domenica di Avvento

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